Anche se con un po’ di ritardo, scrivo questo articolo per voi cari amici della comunità di Cagliari don Bosco e non solo. In questo momento mi trovo ad Alessandria d’Egitto, mandato da voi e dal Signore a fare un’esperienza di missione lontano da casa. Non parlerò tanto della mia routine o di ciò che faccio qui, perché rischierei di essere ripetitivo e probabilmente anche poco interessante, né parlerò di politica o di questioni religiose e culturali abbastanza delicate, poiché non sono qui per questo. Ciò di cui vi voglio parlare in questo breve testo sono alcune cose che mi hanno colpito particolarmente e che spero possano farvi riflettere.
La prima cosa di cui voglio parlarvi è l’accoglienza delle persone che ho incontrato. Nessuno del gruppo con cui sono partito si aspettava che fosse così grande, semplice e gratuita. Grande perché le persone che abbiamo incontrato hanno fatto di tutto per farci sentire a casa, come se facessimo parte della loro comunità da tanto tempo. Semplice perché priva di sovrastrutture, di pregiudizi e, in qualche modo, anche di ostacoli. A primo impatto si può pensare che la questione della lingua e quella della cultura possano essere d’intralcio nelle varie attività e chiaramente questo è vero per alcune dinamiche, ma non per altre. Per stare bene insieme ed essere amici basta parlare con il cuore e non necessariamente con la bocca, e in questo la semplicità aiuta davvero tanto. L’ultimo aggettivo con il quale ho descritto la loro accoglienza è gratuita. Nessuno ci ha accolti perché portatori di qualcosa, ma solo perché siamo venuti a stare con loro e questo basta per accoglierci con davvero tanto entusiasmo. Giunti a questo punto, la domanda che un po’ risuona nella mia mente e che vorrei fare a voi è la seguente: noi come accoglieremmo dei giovani venuti da lontano per stare con noi a Cagliari o in Italia in generale? Certo, a differenza di tante altre case dell’Italia Centrale la nostra non ha tante occasioni di incontro con persone musulmane, ma porsi qualche interrogativo fa sempre bene.
Andando avanti, provenendo da una casa salesiana in cui l’attività principale è quella scolastica, ho veramente tanto piacere a parlarvi di un’attività che ho svolto la prima settimana. Mi è stato chiesto, infatti, di andare alcune mattine a dare una mano nella scuola, più precisamente in un corso di Italiano. Alla fine del corso, i 170 ragazzi che ne fanno parte dovranno sostenere un esame che permetterà a 120 di loro di entrare nella scuola di elettronica o di meccanica, alla fine della quale avranno appreso delle competenze pratiche di valore (il percorso di studio è diviso in tre anni). Il mio compito durante queste mattinate è stato quello di interrogare alcuni ragazzi e aiutarli nella pronuncia di alcune parole. Durante il mio servizio ho avuto l’occasione di osservare l’impegno e la dedizione di tutti gli studenti che hanno l’opportunità concreta di cambiare la propria vita grazie alla scuola di don Bosco.
È incredibile quanto la scuola possa dare ai giovani. Vivendola sia a Cagliari che ad Alessandria, davvero posso dire di aver ammirato e compreso un po’ più a pieno l’opera di san Giovanni Bosco nell’ambito della scuola. La scuola salesiana è un ambiente dove si lavora per il bene dei giovani e non solo per lo stipendio o per tanti altri motivi. Lavorare nella scuola è stato davvero bello e toccante.
Ma ciò che mi ha colpito di più la prima settimana e che voglio condividere con voi è stato trovarsi davanti a tanti ragazzi musulmani e legare con loro in una maniera veramente inaspettata. L’oratorio di Alessandria, come tanti di voi sanno, è frequentato al 95% da musulmani e il restante 5% è costituito da cattolici copti. Dunque, noi del gruppo in missione siamo gli unici cristiani cattolici in mezzo a tante persone di fede diversa. Ciò che può suonare strano per qualcuno è che questa differenza conta davvero poco. Scoprire di essere fratelli nonostante le tante differenze a livello culturale e religioso è un’esperienza che auguro a tutti di fare perché davvero apre gli occhi.
Nei due giorni trascorsi a Roma con il gruppo dei partenti in Egitto, quello dei partenti in Venezuela e quello dei partenti in Polonia, abbiamo visitato la casa di Roma delle piccole sorelle di Charles de Foucault, e la suora che ci ha presentato l’opera, suor Carla, ci ha raccontato di come le sorelle vivano la loro fede come persone normali inserite nelle varie società del mondo. Tra i tanti consigli che ci ha dato, quello che più risuona nella mia mente è: se non si parla di religione, tutto va bene. Questo è vero e sperimentarlo sulla propria pelle non può che far bene. Noi siamo abituati a spiegare con cura il nostro punto di vista e alcune volte ci imponiamo con durezza, ma qui questo non serve, e tante volte non servirebbe nemmeno in Italia. La testardaggine porterebbe solo a rovinare certe relazioni ed è bene rispettare la cultura delle persone che ci hanno accolto.
Concludo questo articolo con qualche breve parola che riassume questi sette giorni bellissimi e molto intensi. Il primo impatto è stato sensazionale e davvero bello. Una bellezza che è difficile da spiegare a parole perché è la bellezza dell’Amore. Ad Alessandria si respira un’aria diversa, un’aria di umanità forte dietro tanti problemi in giro per le strade, i cumuli di spazzatura, il chiasso, i palazzi un po’ storti e i cani randagi. In mezzo a tanto caos c’è una casa salesiana con una scuola, un oratorio e tante attività che sembra un’oasi in mezzo al deserto. Quanto sono grandi le opere del Signore e quanto ha fatto don Bosco grazie al Santo Spirito. Tutta questa bellezza mi mette in discussione e mi fa riflettere, ma c’è tempo.
Cari amici, mi affido alle vostre preghiere perché possa fare del bene qui e al mio ritorno. Vi penso e prego per voi, al prossimo articolo.
Luigi Manca